DEPRESSIONE
Bisogna essere cauti quando si parla di depressione perché questo termine attualmente è un po’ abusato nel linguaggio comune e molti vi fanno rientrare anche le normali oscillazioni verso il basso del tono dell’umore che tutti possiamo avere, a volte per cause di poco conto o addirittura senza alcun motivo apparente.
In realtà per poter parlare di depressione vera e propria (depressione maggiore) occorre, secondo il D.S.M., che vi sia una seria compromissione del funzionamento sociale e lavorativo del paziente per la presenza continuativa (non meno di due settimane) di almeno 5 dei seguenti sintomi :
- umore depresso per la maggior parte del giorno e quasi ogni giorno
- perdita marcata di interesse e di piacere nello svolgere le attività che prima erano piacevoli
- alterazioni del sonno (insonnia o ipersonnia)
- significativa perdita o aumento dell’appetito con conseguente variazione di peso
- rallentamento psicomotorio o anche agitazione
- facile affaticabilità o mancanza di energia
- difficoltà di pensare, concentrarsi e prendere decisioni
- pensieri ricorrenti di morte e di suicidio
- sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi, mancanza di speranza, senso di vuoto.
Contrariamente all’idea di fragilità che il depresso immediatamente ispira negli altri in quanto persona schiacciata dal peso della vita, incapace di reagire adeguatamente a certi eventi e che si ritira nel suo silenzio, nella sua abulìa o nelle sue lamentele ripetitive, nella mia esperienza clinica ho avuto modo di riscontrare spesso, in questo tipo di paziente, una struttura di personalità rigida e inflessibile tendente a volere a tutti costi dominare e vincere sulle persone e/o sugli eventi dimenticando che in quanto esseri umani tutti abbiamo dei limiti e dimenticando che certi eventi non si possono tenere sotto controllo perché sono più grandi di noi. E’ evidente che in questi casi si va molto oltre la assertività e l’autoaffermazione che sono qualità positive e competenze che si dovrebbero acquisire e che noi terapisti cerchiamo di far crescere nel paziente quando in essi sono carenti.
Pertanto, quando non può “ vincere “, questo tipo di paziente crolla e va in frantumi oppure può arrivare a volte a rivolgere la rabbia e l’aggressività contro se stesso con la realizzazione dell’atto suicida.
Questo gesto insano e irreversibile, oltre ad essere l’esito di una profonda mancanza di speranza (hopelessness) e di tolleranza alla frustrazione, è anche il frutto di una distorsione cognitiva perché il soggetto è certissimo che nulla potrà mai più cambiare nella sua infelice vita mentre invece la vita stessa è, per definizione, un continuo cambiamento. Spesso il suicidio non è un atto impulsivo ma è pianificato nei minimi dettagli e può assumere il significato di una fuga dalle proprie responsabilità o di una vendetta per provocare il rimorso e senso di colpa altrui con contemporanea condanna e marchio d’infamia da parte della comunità che col suicida si mostra sempre misericordiosa accusando gli altri di non averlo capito e aiutato.
Quando poi il suicidio non è realizzato ma solo tentato può avere il significato di richiesta perentoria o di ricatto per fare pressione sull’altro, ancora allo scopo di “ vincere “.
Alle persone depresse che hanno pensieri ricorrenti di tipo suicidario vorrei raccomandare, oltre che di rivolgersi senza indugio ad un bravo psicoterapeuta, anche di recitare ogni giorno la famosa preghiera di S. Tommaso Moro :
“ Signore, dammi la forza di cambiare le cose che si possono cambiare, la pazienza di accettare quelle che non si possono cambiare e la saggezza di distinguere le une dalle altre. Dammi, o Signore, un’anima che apprezzi la bellezza e la purezza e che non si lasci impaurire dal male. Non permettere che mi preoccupi eccessivamente del mio ego e dammi il dono di saper godere di qualche gioia della vita e farne partecipi gli altri “.